GlobeTrotter con la passione della avventura

sabato 16 maggio 2020

AUTOSTOP ATTRAVERSO SUD EST ASIATICO, PHU THOK - TAILANDIA

VIAGGIARE LIBERA LA MENTE E ACCRESCE LO SPIRITRO.


In quata prima fotografia qui sopra, sono ritratto con la mia bella sul monolite di Phu Thok, assolutamente uno dei posti unici è più affascinanti della TAILANDIA, nel nord est non lontano dal fiume Mekong.


Abbiamo raggiunto questo luogo magico attraverso un viaggio unico, partiti da Hong Kong via terra in AUTOSTOP abbiamo attraversato tutto il Vietnam, dove non è stato semplice fare autostop, la gente è restia nel prendere persone a bordo gratuitamente, comunque sia tra un temporale e l'altro, veri e propri acquazzoni,


raggiungemmo il sud per poi superare la frontiera con la Cambogia, che dopo i migliaia di motorini che strombazzano all'impazzita, sembrava un paradiso avvolto nel silenzio.
Dal confine cambogiano abbiamo continuato il nostro viaggio a pollice alzato fino a Sihanoukville, dove ai tempi viveva mia sorella, proprietaria di una bella guest House, la ChoChi Garden Guest House. L’autostop in Cambogia fu abbastanza semplice, l' unica cosa  è che ci avevamo messo un po' a capire che al posto del dito alzato (in questo modo ci caricava nessuno) bisognava sventolare la mano. Da Sihanoukville sempre on the road e sventolando la mano raggiungemmo la TAILANDIA, paese che conosco molto bene, in passato l’ho attraversata molte volte in autostop, qui la gente ti carica subito, sono molto gentili, si va più veloce che con l’autobus. 


Dal sud della TAILANDIA siamo stati a visitare alcuni miei clienti (Sono nel settore internazionale del vino), divertente arrivare da loro e ripartire in autostop, all'inizio facevano fatica a capire, alcuni volevano metterci a disposizione i loro autisti, ma quando spiegavo che per noi questo modo di viaggiare era una scelta, un modo per lasciare agli altri l’occasione di incontrarci e per noi di incontrare persone diverse, di ceti sociali completamente opposti, apprezzavano il nostro progetto e così ci incoraggiavano in questa nostra piccola avventura. 


Costeggiammo a nord est il Mekong, fiume magnifico, lungo le sue sponde un mondo fatto di miscugli di etnie diverse,  coricati sul cassone di un fuoristrada Pik Up coperti da una trapunta imprestataci dai nostri ospiti, quel giorno stranamente faceva freddo, raggiungemmo questo bellissimo villaggio sperduto, fuori dalle rotte turistiche, nella provincia di Loei.



Arrivati a Phu Thok, per prima cosa cercammo una guest house, ma aime! non c’è n’erano, neanche hotel, nessun turista, ormai era tardi, il sole stava calando quando una gentile ragazza che parlava poco inglese si avvicinò a noi sul suo motorino e ci chiese cosa cercavamo, noi rispondemmo che cercavamo semplicemente un posto per pernottare, sorridendo ci disse che nel villaggio non c erano hotel e guest house ma che se volevamo ci avrebbe accompagnato a casa di una sua amica che secondo lei sarebbe stata felice di ospitarci. 


Saltammo sul motorino, un viaggio in 3 di pochi km attraverso una piantagione di alberi della gomma, e arrivammo a una bella fattoria situata sulle sponde di un laghetto, ad aspettarci una stupenda famiglia che ci accolse a braccia aperte, ci diedero un buona stanza dove dormire, ci sfamarono per 4 giorni con pietanze tradizionali assolutamente squisite, ci imprestarono anche il loro scuter e in cambio da noi vollero solamente il bene più prezioso, l’amicizia. 


Il giorno dopo tornammo al villaggio per dare inizio alla esplorazione di questo enorme monolite sacro, PUK THOK che significa la “montagna solitaria”, 359 m di roccia circondata dalla foresta che si innalza verso il cielo, intorno una piccola passerella di legno fatta di due assi, a volte quattro, della larghezza  di 3 spanne a volte poco di più, costruita in bilico, puntellata al fianco della parete che sale verso l’alto tipo una vite senza filo intorno alla parete, accompagnandoci in un percorso mozza fiato in visita a piccole e a volte più grandi grotte, dove all’interno si trovavano Buda nella posizione classica della meditazione. 


Ricordo ancora la mia paura nel percorrere quella passerella traballante su fino in cima, non sono mai stato un gran amante dell’altezza anche se ho sempre amato l'arrampicata, Franca mi sfotteva per questo...


lasciato PUK THOK abbiamo continuato in AUTOSTOP verso il nord ovest poi nuovamente nord est fino a raggiungere il Laos,


 per poi proseguire, attraversare la parte nord di questo paese, un po’ a piedi e il resto in autostop, incontri magnifici, luoghi unici, per arrivare a nord, nel triangolo d’oro e così attraversare una nuova frontiera, quella con la CINA , Yunnan una delle regioni più belle di questo grande paese, e così tra una grande avventura e l’altra, sempre pollice alzato, percorremmo altre migliaia di km, visitammo paesi, villaggi inaspettati, condidemmo momenti con persone uniche, anche qualche piccola disavventura....  alla fine arrivammo a Shenzhen dove ad aspettarci alcuni miei clienti, da qui Hong Kong chiudendo così il cerchio di questo nostro INDIMENTICABILE viaggio, un’altra avventura che resterà nei miei, questa volta 😊 nostri più bei ricordi.

L’AUTOSTOP È UNA FILOSOFIA, UN MODO PER LASCIARSI ANDARE ALL’IGNOTO, DOVE SONO GLI ALTRI CHE SCELGONO DI INCONTRARTI.... UN VIAGGIO LENTO, NON SI SA MAI DOVE SI ARRIVA ALLA SERA.....

mercoledì 13 maggio 2020

2002 CAMBOGIA, VERSO BATDAMBANG E L'OSPEDALE DI EMERGENCY

Parte di un viaggio, che nel 2002, mi ha visto per oltre tre mesi attrevrsare Tailandia, Malesia, Sumatra in Indonesia e in fine la Cambogia, in parte da solo e in parte con amici, bag packer incontrati lungo la strada


Di quel viaggio non ho molte fotografie, era un periodo in cui passavo più tempo a scrivere che a puntare l'obiettivo, per questo motivo il racconto che segue è come quel viaggio, snza una discrizione fotografica, e riprende esattamente il raconto che avevo scritto per "La Stampa":


Sono sul cassone di un Pik-Up con altre diciotto persone mentre percoriamo la strada bianca verso Batdambang con l'obiettivo di raggiungere l'ospedale fondato da Gino Strada EMERGENCY. La strada è coperta da uno strato spesso di terra e polvere rossa, mi bendo la testa e il viso con una magleita, mi proteggo gli occhi con un vecchio paio di occhiali da sole, la polvere è veramente tanta, ogni volta che ci supera un camion, di automobili se ne vedono pochissime, davanti a noi si forma una fitta nube grigio marrone, un misto di terra e fumi proveniente dai tubi di scapamento, che penetra ovunque tra i miei vestiti, ormai il mio corpo e abiti sono diventati di tinta unita. La careggiata è costeggiata da prati secchi e alte palme che si piegano con il vento, anche quest'ultime impolverate, spesso il Pik-Up sterza di colpo per evitare buche e piccoli crateri risalenti ancora a espolsioni  di mine. Nel cassone con noi oltre a un ammasso di persone anche sacchi ripieni probabilmente di riso, su uno di questi ogni tanto riesco a sedermi, tenendomi forte, facendo attenzione di non essere sbalzato fuori dal cassone, salto dopo salto; tre galline e un gallo con le gambe legate sono buttati come oggetti sul pavimento arrugginito, so che non è un viaggio comodo, ma è l'unico modo di racciungere la mia meta. Ogni tanto quando incrociamo piccoli villaggi lungo la strada, per lo più fatti di capanne dalle pareti di terra e tetti di frasche e qualche palafitta, alcuni scendono ma purtroppo altri salgono e le proporzioni tra quelli che scendono e quelli che salgono più delle volte non sono mai a favore. Un'anziana dal bel viso segnato da un passato di difficoltà, con i suoi occhi socchiusi come per osservare il mondo da una fessura, mi offre un bambù ripieno di riso e pezzetti di carne di maiale e qualche grana di mais appena cucinato sulla brace di un fuocherello sul ciglio della strada, eccezionale, uno dei migliori piatti che abbia assaggiato fino ad ora in Cambogia.
Sono quasi arrivato, sono circa otto ore che viaggio, la mia forza meditativa ha superato ormai ogni limite, quando il cielo si fa grigio, ormai è l'inizio di aprile, i monsoni, tempo di dare uno sguardo al cielo, le prime goggiolone cominciano a rimbalzare sul Pik-Up, sulla terra, sulla starda, sul mio corpo, sempre più velocemente e abbondanti, qualche d'uno cerca di coprirsi con dei sacchi di nailon, pochi minuti e piove così tanto che sembra che dal cielo qualche d'uno abbia deciso di aprire tutti i rubinetti, fortunatamente dopo meno di un'ora sono a Batdambang. La polvere infilata tra i miei vestiti, capelli e sul mio corpo è diventata fango, sono ricoperto totalmente, se mi metto al sole mi sa che mi trasformo in uno dei soldati di terracotta di Xi'an in Cina, cerco di darmi una ripulita come posso, zaino in sapalle e comincio a passeggiare nel mercato del paese, domando in giro dove posso trovare l'ospedale italiano di Gino Starda, ma nessuno sa darmi indicazioni, le persone mi guardano stranite, un taxista, conducente di mototaxi, mi si avvicina, mi parla dell'esistenza di un ospedale Americano che si trova nella periferia, dalla descrizione qualcosa mi dice che è quello che cerco io, cosi mi avvio a piedi, ad un certo punto costeggiando un lungo muro vedo a grandi caratteri una scritto "EMERGENCY" e un divieto di introdurre armi, capisco di essere arrivato, sono felice, finalmente ci sono, mi avvicino al cancello di ingresso, un giovane khmer mi apre la porta, lo stabile è formato da diversi edifici bianchi e bassi circondati da piccoli e ben curati giardini, il luogo è estremamente pulito, molto accogliente. Il mio accompagnatore, il giovane khmer, mi presenta Stefano Noto un chirurgo di Milano che è qui con la moglie da ormai sei mesi, Stefano, visto che arriviamo dallo stesso paese si offre di farmi da guida, mi spiega che EMERGENCY è  un ente  fondato da un medico italiano, Gino Strada, di ospedali simile a questo ce ne sono sei nel mondo, questo è dedicato a Ilaria Alpi, giornalista italiana assassinata in Somalia, ed è stato costruito nel 1998, quattro anni fa, subito dopo la fine della guerra che ha martoriato questo paese  conclusa nel 1997 dopo che le più alte autorità dei Kmer Rossi Ieng Sary e Ta Mok, decisero di mettere fine alla guerriglia e di giungere a un accordo con il governo, solo un anno dopo, nell'aprile del 1998 Pol Pot leader dei Kmer Rossi morì per un presunto attacco cardiaco. 


Gli altri ospedali si trovano: in Kuzbechistan il primo aperto; Afganistan ultimamente tragicamente noto e l'ultimo appena terminato in Sierra Leone, in questi ospedali lavorano dottori e infermieri di tutte le nazionalità e collaborano con loro, nel caso di questo dove mi trovo, anche medici khmer. Lo stipendio di un chirurgo è di circa 2000  USD al mese con contratti da 3,6 mesi a un anno. L'ospedale può dare ricovero gratuito a persone ferite da armi da fuoco e taglio, patologie riguardanti malformazioni ossee congenite e polmiomelite, durante il regime di Pol Pot, era stato proibito il vacino perchè si pensava inutile. All'interno della struttura  si trova un ambulatorio pronto soccorso, una piccola banca del sangue, una stanza che funziona da radiologia, una per la terapia intensiva, una piccola scuola con un insegnante di inglese e uno di khmer, una mensa che distribuisce ogni giorno riso per tutti. Con l'aiuto di altri istituti riescono a dare soccorso a tutti quelli che si presentano. Il primo soccorso, spesso operazioni chirurgiche, vengono effettuate da EMERGENCY e poi spostati alla Croce Rossa per la riabilitazione. Ci sono molti altri punti di primo intervento, per lo più ricavati in semplici capanne di legno, lungo il confine con la Tailandia, nelle zone più a rischio. Stefano mi racconta che qui ci sono circa un centinaio di interventi all'anno causati da mine anti uomo inesplose, il 98% dei feriti sono civili, solo il 2% sono militari. Sono mine che sono state nascoste lungo le strade dei centri abitati e delle scuole dai Kmer Rossi, con lo scopo di provocare terrore, tutto questo avveniva ancora fino alla fine del 1997.

Stefano mi accompagna tra i letti, in fila uno accanto all'altro, in un grande salone, sul quale distesi uomini, donne e bambini mutilati dalle mine, un nodo mi prende alla gola, la rabbia mi stringe l'intestino, avrei voglia di gridare, ma dai letti vedo sorrissi, tutti mi sorridono, sono loro a rilassarmi, a rifarmi gioire della vita, mi rendo conto che questo ospedale è più di un ricovero, è una famiglia. Mi accompagnano a trovare una giovane ragazza ferita a un ginocchio da un proiettile, Stefano mi racconta la sua storia: "lavorava in un bar notturno, probabilmente venduta come prostituta, si è messa a giocare con un poliziotto con una pistola carica e lui per gioco gli ha sparato. 
Qui la delinquenza armata è molto forte, solo l'anno scorso, una infermiera di EMERGENCY, una sera mentre si recava in ospedale al lavoro in sella al suo motorino è stata uccisa e derubata. 
Tra le file di degenti conosco un altro medico italiano , chirurgo plastico di Roma, chiedo ad entrambi i medici cosa gli ha spinti a lasciare l'italia, le comodità, un buon stipendio e spingersi fino a qua, in culo al mondo, tra il pericolo e la sofferenza, mi rispondono "semplicemente la voglia di viaggiare, di vivere una vita semplice". Mi spiegano che per lavorare per EMERGENCY ci vogliono almeno dieci anni di praticantato in un ospedale occidentale e un curricolum di almeno una esperienza in prima linea. I medici che ho conosciuto in questo luogo sono veramente speciali, sono a modo loro viaggiatori, trai i migliori e i più belli dei viaggiatori, sorridenti, i loro occhi brillano anche davanti alla stanchezza di ogni giorno. 

Durante questa breve visita da EMERCGENCY una sera, prima che tramontasse il sole, in quanto mi era stato consigliato di non muovermi nel paese di notte, conosco anche una ragazza italiana che mi spiega essere in Cambogia con una organizzazione che si occupava di fare un censimento sulle proprietà creando dei documenti di proprieta, in quanto fino ad ora non esiste una vera proprietà, uno abita una casa, è sua finche ci vive dentro, spesso capita che, un estraneo armato, più delle volte un militare, spesso ex Kmer Rosso, si presenta intimidisce i proprietario sbattendolo fuori dalla sua proprietà e impossessandosene, e se lui fa resistenza viene ucciso e sepolto da qualche parte nella foresta. Un sistema di documentazione della proprietà, renderanno più diffice questi tipi di soprusi. Questa nuova amica mi spiega che spesso viene minacciata dagli stessi militari per il lavoro che sta portando avanti. Penso che ci voglia un gran coraggio a lavorare in questo paese a continuo contatto con la violenza e rischiando così la propria vita.

Continuai quasto viaggio  verso la costa, Sianoukville, ai tempi una cittadina impolverata, costruita tra la terra rossa affacciata a spiagge magnifiche, un mare di un azzurro turchese indescrivibile, ma purtroppo patria di molti farabutti occidentali, per lo più scapapti di casa con il vizio della prostituzione, sia femminile che maschile ma sopratutto qulla veramente schivosa dove ci si approfitta di bambini spesso veramente veramente piccoli, un orrore. Un paradiso abitato da demoni.


Anni dopo tornai più volte in Cambogia, la seconda volta nel 2013 a distanza di 11 anni e mi trovai davanti un altro paese, strade asfaltate, villaggi di poche capanne diventati paesini, paesini cittadine, Phnom Penh sempre più caotica, traffico insopportabile, i Pik-Up hanno lasciato il posto a autobus di linea e turistici, viaggiatori e avventurieri sostituiti con giovani ragazzi che si riversano sulle spiagge per partecipare a party, dove si possono acquistare droghe e alcolici a poco prezzo, quello che purtroppo non è cambiato, ma anzi peggiorta è la prostituzione, anche minorile.


Dopo il 2013 tornai ogni anno in Cambogia fino al 2018 in quanto mia sorella aveva aperto in questo paese con il suo compagno una bellissima GuestHouse, la ChoChi Garden Guest House, a Sihanoukville, a poche decine di metri da quelle che un tempo erano spiagge incontaminate, un posticino veramente unico, tanto che è stato citato sulle migliori guide turistiche come una delle più belle e confortevoli GuestHouse del luogo, ma purtroppo come capitava nei racconti della ragazza conosciuta da EMERGENCY durante il mio viaggio nel 2002, anche mia sorella a distanza di sedici anni, ha ricevuto per alcuni anni diverse intimidazioni da parte di persone che poi sono risultati militari, fino quando, ormai sicura che stava rischiando la vita, in ventiquattro ore ha dovuto abbandonare la sua attività, ancora oggi per contratto di sua proprietà, vendere quel poco che poteva nell'arco di 12 ore. La GuestHouse era formata da una ventina di stanze, sette appartamenti, un bar e un piccolo ristorante. Chiuso il cancello ha preso i suoi due cani, e così ha lasciato velocemente il paese con la speranza di riuscire a prendere un volo di ritorno in Italia prima che gli fosse fatto del male o anche peggio, ma questa è un'altra storia, che forse un giorno sarà mia sorella a raccontare.



LA VITA E' BELLA!!!! 







domenica 10 maggio 2020

SU UNA CANOA CANADESE NEL SUD DELLA SVEZIA, TRA FIORDI, LAGHI E CANALI FINO ALL’OCEANO ATLANTICO E RITORNO

Avevo trentasei anni, undici anni fa, era il mese di luglio del 2009, quando insieme ad Annika, ex fidanzata francese mezza sangue svedese, in dieci magnifici giorni avevamo navigato, pagaiato a bordo di una canoa canadese attraverso laghi, bellissimi, distesi fiordi punteggiati da isole e isolotti immersi in verdissime foreste, fino a raggiungere l'Oceano Atlantico, per poi costeggiarlo e in un percorso ad anello, lottando a volte con l'intemperie  e il continuo cambio climatico che in Svezia può passare dall'inverno all'estate anche quattro  e più volte al giorno, rientrare da dove eravamo partiti.


Venti, piogge, maree, correnti che cambiavano improvvisamente, certo la nostra imbarcazione non era delle più ideali, sicuramente un kayak singolo da mare sarebbe stato più stabile e veloce, ma per noi meno affascinante. 
Per me una bellissima nuova esperienza, era la prima volta che portavo una canoa canadese, ricordo che all'inizio non era cosi semplice ma dopo pochi giorni già riuscivo a comandarla da solo, cosa che facevo quando andavo a fare legna per la sera, dopo aver montato la tenda.


Le giornate erano lunghissime, il sole sorgeva alle quattro del mattino e tramontava alle ventitre e un quarto, e le cinque ore di notte in realtà, tolto forse un paio, non erano mai veramente buie, si navigava dal mattino alla sera, fermandoci per qualche visita, per i bisogni fisiologici e per mangiare qualche cosa.


Il viaggio iniziò nella zona di Ammenàs, nel territorio svedese del Uddevalla a circa 100Km a nord di Gottemborg, dove la famiglia di Annika possedeva un bellissmo cottage di legno, due baite in mezzo a un bosco di pini, circondati da mirtilli a pochi metri da un bellissimo fiordo da dove abbiamo dato inizio a questa piccola avventura.
I giorni prima della partenza sono stati altrettanto belli, ero eccitato per questa nuova esperienza, sveglia presto al mattino, corsetta lungo il fiordo, preparazione della canoa, sistemazione di alcuni bidoni stagni, un bel po di acqua potabile in quanto sulla maggior parte delle isole non si trovava, atrezzatura da bivacco, tenda e sacchi a pelo.


Un giorno di sole, pagaia in mano siamo partiti, staccarmi dalla terra ferma è stato un momento unico, mi stavo nuovamente lasciando tutto alle spalle per innoltrarmi un'altra volta in qualche cosa che non conoscevo, con la consapevolezza che alla fine dentro di me sarebbe rimasto qualche cosa di nuovo di indelebile, noi dopo tutto siamo le nostre esperienze. Il cielo era azzurrissimo, neanche una brezza di vento, l'intero paesaggio intorno era immobile, come navigare in una cartolina, le acque calme, ci aspettavano, allora ancora inconsapevoli, cinque fantastiche notti sotto le stelle, circondati da pini e betulle e altre in una baita di legno.


Ricordo in particolare un bellissimo bivacco, il tempo come ogni giorno era nuovamente passato dall'estate all'inverno, freddo, vento, le acque mosse, correnti contrarie, noi ci trovevamo all'argo, il fiordo era immenso, la terra ferma distava da noi più o meno mezza oro di pagaiata, la canoa rischiava di capovolgersi, e non avevamo per niente intenzione di finire nelle acque fredde, difronte a noi non molto lontano un isolotto, penso che sarà stato circa duemila, tremila metri quadrati, aveva iniziato anche a piovere, saranno state circa le sette di sera, sbarcammo, trascinai la canoa sulla terra ferma, piantammo la tenda, accesi un fuoco con la legna ancora asciutta trovata, 


cucinammo qualche cosa, un tè, un bicchiere di vino, cerco sempre di non farlo mancare mai, in tanto il vento era aumentato e anche le onde, noi soli completamente isolati su questo pezzetto di terra, Annika preoccupata io felicissimo, adoro trovarmi in queste situazioni, immerso nella natura. Ci rifuggiammo nella tenda che si schiacciava una volta su un lato e una volta sull'altro, ogni tanto tiravo giù la lampo per sbirciare fuori, era sempre giorno pioveva a dirotto, cosi che mi misi a leggere un libro, non ricordo quale, mentre Annika provava a dormire. Dopo qualche ora a un certo punto non sentii più il vento a soffiare, sbirciai nuovamente aveva smesso di piovere, faceva ancora freddo, il cielo sembrava che si stesse aprendo, tutto intorno buio, erano le due di notte, mancava poco all'alba, cosi sveglia Annika dicendogli che era il momento di ripartire, volevo togliermi da quel isolotto prima che ricominciasse a piovere, la mia intenzione, cosa che poi feci, era quella di raggiungere la costa in modo da costeggiarla fino a quando il cielo non si fosse aperto. Smontammo la tenda, mi accertai che il fuoco era completamente spento, e ripartimmo, era bellissimo navigare di notte, anche se infreddoliti, in pochi minuti raggiungemmo la terra ferma, il buio era ormai meno buio, accesi un fuocherello e preparammo la nostra colazione, tè, marmellata e qualche galletta, mirtilli appena raccolti da Annika; le stoviglie le lavai, come ogni volta nelle acque del fiordo utilizzando al posto del sapone un po di sabbia e ghiaia, non ci preoccupevamo di rigare la pentola. 


Eravamo nuovamente pagaia in mano, io a poppa Annika a prua, intorno a noi centinaia di bellissime e grandi meduse, dal colore rosa al giallo violaceo. Attraversammo anche una zona dal fondale poco profondo, una deviazione che decisi di prendere, ci costrinse però a scendere dalla canoa e trascinarla, legata a una corda, per un bel po, a piedi, intorno sempre e solo foreste.


Alla sera come ogni sera, preparavamo il bivacco, la tenda, e poi in canoa navigavo da solo alla ricerca di legna da usare per scaldarci e cucinare. Si mangiava sempre più o meno la stessa cosa, polpette di carne o di pesce, riso e qualche volta un piatto di spaghetti e come desset frutti di bosco raccolti nella foresta.


Dopo altri due, tre giorni di pagaiata, spesso 12 ore senza quasi mai fermarci, se non per bisogni fisiologici e per sfamarci, al'incirca all'altezza della cittadina di Lysekil, ci imbattemmo nel bellissimo villaggio di pescatori di Fiskebackskil, famoso per l'antica tradizione essicatura al sole del pesce, 


dove ci fermammo per una visita prima di entrare, puntando vesro sud in mare aperto, nell'Oceano Atlantico, la mia inesperienza non mi aveva fatto pensare che una canoa canadese non era veramente l'imbarcazione più ideale per costeggiare la costa dell'Oceano, oltre tutto una costa fatta per lo più da alte scogliere sulle quali si infrangevano grosse onde.


Eravamo in mare, qui iniziò la vera avventura, durata fortunatamente poche ore, le onde erano alte, stare attaccata alla costa, vicino alle scogliere non aveva senso, il pericolo di essere scaraventati contro i massi era certo, cosi puntammo in mare aperto, dove le onde erano sempre alte ma più lunghe. Per poter proseguire ogni volta che arrivava un'onda spostavo la prua verso londa stessa in modo da poterla prendere leggermente di punta, senza mai farmi trovare impreparato su un finco, in questo caso l'onda ci avrebbe sicuramente travolto e ribaltato, una volta presa l'onda di punta la risalivamo, per poi riportare la prua leggermente verso la costa tipo a tre quarti cosi da cavalcare l'onda e farci trascinare in vanti, navigammo così a zig zag per ore, altra difficoltà sono state le barche a vela che abbiamo incrociato, o megli ci incrociavano, al posto di mantenere la loro rotta e starci lontani, si avvicinavano a noi per vedere chi erano quei due folli su una canadese, cosi che creavano altre onde traversali difficili da combattere, il cuore in gola, ongni momento era buono per finire in mare, non immaginate i miei sbraiti verso queste imbarcazioni, ma alla fine riuscimmo a trovare una insenatura a sud di Grundsung che ci riportò nella diramazione di un altro fiordo indicato sulla nostra carta, che si sarebbe andato a ricongiungere, giorni avanti al fiordo da dove avevamo iniziato questa bella aventura.


Ora navigavamo nuovamente in acque tranquille, almeno durante il primo giorno, eravamo di nuovo in piena estate, nel bel mezzo del fiordo di Koljo, nella lussureggiante foresta che ci circondava ogni tanto si intravvedevano belle baite in legno colorate di rosso mattone con quori intarsiati nelle persiane delle finestre.


Un'altra notte sotto le stelle, la mattina ci sveglaimmo nuovamente in mezzo a un inizio di pioggia che presto si trasformo in una vera e propria tempesta, proseguimmo navigando su corte e instabili onde che ci portarono dall'isola di Hjalton fino alla costa, dove ci dovemmo fermare per quattro giorni e attendere il miglioramento del tempo, in quelle condizioni non potevamo proseguire, troppo rischioso, non sentivo in realtà un vero pericolo alle nostre persone, ma pericolo di capovolgerci, perdere tutto il materiale, canoa inclusa e dover nuotare fino a riva al freddo.


In questi giorni decidemmo di esplorare in canoa alcuni laghi uniti tra di loro da stretti canali e spesso avvolti in canneti e ninfee, cosi da farci una idea anche della natura che costeggiava le acque dolci di questo paese, la mia speranza era di incontrare un'alce, che però purtroppo non avvenì.


Dopo quattro giorni finalmente smise di piovere, il vento si era attenuato e cosi tra una foschia, nebbia simile pianura padana, pagaia in mano riprendemmo il nostro viaggio, Annika era stremata, io dispiaciuto che eravamo alla fine della nostra avventura. Non mancarono altri acquazzoni improvvisi, l'ambiene era diverso da come lo avevamo lasciato in quel giorno di sole che aveva accompagnato la nostra partenza, ora sembrava più un paesaggio dell'Eneide, da un momento all'altro mi aspettavo che si affiancasse Caronte.


Ormai  ci stavamo lasciando alle spalle la natura selvaggia, passammo sotto un lungo ponte dal quale giungeva il rumore di autovetture, e pagaiata dopo pagaiata tornammo alla realtà di Amménas.


Bellissimi anche gli incontri co la fauna locale, per lo più uccelli, gabbiani, aironi grigi, anatre, nelle foreste cervi e in acqua meduse.
Non è stato difficile trovare, nei boschi, frutti di bosco come mirtilli, fragoline, lamponi selvatici e funghi con i quali nutrisri.


Uno dei ricordi più belli sono stati i tramonti le albe che dipingevano l'intero quadro che stavamo vivendo, in rosso, arancione e sfumature di giallo.


Belle anche le case di legno, dipinte di rosso, colore naturale proveniente dalla terra del centro nord, utilizzato in passato per il basso costo e oggi per il folklore, le finestre e porte spesso decorate di bianco se fattorie, di nero e verde se semplici abitazioni, quasi tutte con la bandiera svedese che sventolava sul davanti, e su un lato costruito separatamente il gabinetto, come vuole la tradizione dedicando lo spazio, per i propri bisogni fiologigi, a due persone, sulla porta di ingresso disegnato accanto a uno spioncino un cuore rosso, questo perchè in passato essendoci molti lupi, era usuale avventurarsi al bagno in coppia in modo da sentirsi più protetti e il cuore stava a ricordare il pericolo.


Di seguito breve video presentazione di questo viaggio, video che in realta, causa incidente di percorso, non è stato poi mai finito








giovedì 7 maggio 2020

ALLA SCOPERTA DEL VULCANO IJEN - JAVA INDONESIA

Gennaio 2009, ero partito per il Sud Est asiatico con l’obiettivo di scalare i più belli e importanti vulcani di questi territori, dopo aver scoperto che la linea vulcanica più importante è attiva del mondo parte dall’Indonesia, attraversandola in gran parte, per poi attraverso l’Oceano passare per il Giappone, risalire verso lo stretto di Bering e ridiscendere attraversando l' Alaska fino alla California. Questa è anche una delle zone più altamente a rischio sismico. 


Tra i tanti vulcani che visitai e scalai in quei tre mesi di viaggio (in Indonesia ci sono 130 vulcani) ricordo uno in particolare, che mi affascinò sia per la sua bellezza ma anche per la storia di quelle decine e decine di persone che ogni giorno lo scalavano per pochi dollari, calandosi nel suo cratere cosi da raccogliere pezzi di zolfò, caricarli in ceste appese a lunghi bastoni che venivano poi issate sulle spalle così da risalire la ripida bocca del vulcano per poi ridiscendere i scoscesi sentieri che dalla cima riportavano a valle, tre, quattro, fino a cinque volte al giorno; uomini minuti, spesso scalzi, silenziosi con in spalle dai 70 ai 90 Kg di pietre solforose. Ricordo che provai anche io a caricarmi due ceste sulle spalle, ero in forma, muscoloso il doppio di loro e con un buon paio di scarponcini e feci solo pochi metri, il peso era veramente tanto. 


A valle dove pesavano lo zolfo e in base al peso pagavano I poveracci o forse fortunati visto che avevano un lavoro, anche se il loro guadagno era solo di 5 dollari U.S.A. al giorno. Intervistai uno degli acquirenti che mi racconto che gran parte dello zolfo andava a case produttrici di creme per


Una delle cose che rende questo vulcano unico al mondo è il suo cratere principale che ospita il più grande lago acido nel mondo, acido a causa delle emissioni solforose che spesso a contatto con l'aria si accendono creando fuochi blu elettrici, con fiamme alte anche oltre i cinque metri la cui temperatura supera i seiceno gradi centigradi. Di notte anche la lava, tra il fumo, assume un colore violaceo a causa della grande quantità di zolfo che si trova all'interno.
Parte del gas si condensa trasformandosi in liquido che da origine a lastre di zolfo cristallizzato di grandi dimensioni che vengono spaccate e caricate sulle schiene di questi poveri uomini..

A causa dei fumi tossici i minatori, hanno una aspettativa di vita che non va oltre i cinquanta anni, il loro lavoro è considerato uno dei più pericolosi al mondo.


Feci l'avvicinamento al vulcano in autostop, per lo più viaggiando su un cassone di un grosso camion della terra che portava i minatori ai piedi del vulcano. La risalita non era stata molto faticosa, un buon sentiero porta fino al cratere, se non ricordo male compi la risalita in una ora e mezza, qualche d'uno mi aveva anche avvertito che bisognava pagare un biglietto di ingresso, ma nessuno mi chiese nienete e non vidi nenache un chek point, fui fortunato, durante l'intera risalita, discesa e giornata non incrociai nessun altro viaggiatore. 


Rientrea alla mia guest house sempre in autostop, questa volta a bordo di una atutovettura, con una piccola deviazione, il proprietario mi invitò a casa sua per farmi conoscere la famiglia e vedere il suo allevamente di serpenti tra cui anche un pitone albino, era un addestratore di serpenti, teneva anche uno spettacolo alla settimana in un teatro aperto del paese.


Viaggiare porta a scoprire ambienti, situazioni, culture che più delle volte non riusciamo neanche ad immaginareci, momenti unici che ci arricchiscono, che ci fanno diventar parte di un racconto.
Un viaggio è più delle volte come vivere un libro.